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La separazione è l’istituto giuridico che permette ai coniugi di “sospendere” gli effetti civili del matrimonio nei casi in cui la convivenza matrimoniale sia divenuta intollerabile. Con la separazione vengono meno l’obbligo di coabitazione e quello di fedeltà, ma non il matrimonio stesso. I coniugi diventano “ex coniugi” solo dopo il divorzio.
La separazione può essere consensuale o giudiziale.
La separazione consensuale è quella che si fonda sull’accordo dei coniugi, il procedimento è dunque più veloce e meno conflittuale: in presenza di figli, sono i coniugi a concordare i tempi di visita di ciascun genitore, l’eventuale assegnazione della casa familiare, le modalità di contribuzione al mantenimento dei minori, ecc., con la possibilità di prevedere le soluzioni più adatte al proprio nucleo familiare nonché alle esigenze proprie e dei figli.
La separazione giudiziale è invece il procedimento in cui i coniugi si trovano l’uno “contro” l’altro e chi decide, alla fine, è il Tribunale. Questo procedimento, certamente più duraturo e conflittuale del precedente, si instaura in tutti i casi in cui non sia stato possibile raggiungere un accordo. La separazione giudiziale è anche l’unica strada percorribile nei casi di violenza domestica, in cui è necessaria una risposta tempestiva del Tribunale e in cui lo squilibrio delle posizioni non permette il tentativo di conciliazione. Ad esito del procedimento di separazione giudiziale, il Tribunale deciderà sulla eventuale domanda di addebito e di mantenimento del coniuge, nonché – in presenza di figli – su affidamento, collocamento, frequentazioni e mantenimento dei figli e sull’assegnazione della casa familiare.
Se, durante il procedimento di separazione giudiziale, i coniugi trovano un accordo, il Tribunale può trasformare il rito da giudiziale a consensuale.
Il divorzio è l’istituto che pone fine al matrimonio: più precisamente si parla di “scioglimento del matrimonio” nel caso in cui i coniugi si siano sposati con rito civile o “cessazione degli effetti civili del matrimonio” nel caso in cui i coniugi si siano sposati con rito concordatario.
Il divorzio può essere richiesto dopo 6 mesi dalla separazione consensuale oppure dopo un anno dalla separazione giudiziale.
Il divorzio, come la separazione, può essere congiunto o contenzioso: nel primo caso si fonda sull’accordo dei coniugi, anche rispetto alle condizioni accessorie quali assegno divorzile e provvedimenti relativi ai figli, e viene chiesto da entrambi i coniugi unitamente.
Il procedimento contenzioso è invece instaurato da un solo coniuge e prevede che, ad esito del giudizio, sia il Tribunale a decidere sulla pronuncia di divorzio, sull’assegno divorzile e sulla regolamentazione della responsabilità genitoriale in presenza di figli.
Con il divorzio congiunto può essere concordato il versamento dell’assegno divorzile in unica soluzione (così detta “una tantum”), mentre nel divorzio contenzioso il Tribunale, se ritiene fondata la richiesta di assegno divorzile, può unicamente determinare l’importo che mensilmente un coniuge dovrà versare all’altro.
Il procedimento di regolamentazione della responsabilità genitoriale è quello che si instaura quando una coppia di genitori non sposati “si separa”.
Come quelli di separazione e divorzio, anche questo procedimento può essere congiunto, fondato sull’accordo, oppure contenzioso, quando la decisione è rimessa al Tribunale.
I genitori, nel caso di accordo, o il Giudice, nel caso di procedimento contenzioso, determinano l’affidamento dei figli, i tempi di visita di questi ultimi e ciascun genitore, l’assegnazione della casa familiare e le modalità di contributo di ciascun genitore al mantenimento dei figli.
Tutte le decisioni relative ai figli – affidamento, collocamento, frequentazioni –, all’assegnazione della casa familiare e al mantenimento della prole o del coniuge, sono assunte, come si dice in gergo tecnico, “rebus sic stantibus” cioè sulla base della situazione di fatto nel momento in cui la decisione viene assunta o l’accordo viene sottoscritto.
Con il passare del tempo, tuttavia, possono verificarsi cambiamenti che rendono quegli accordi – o quella decisione – non più aderenti alla realtà: si pensi, ad esempio, al licenziamento o al pensionamento di un coniuge/genitore, alla nascita di un nuovo figlio, al trasferimento all’estero di un genitore, al raggiungimento dell’indipendenza economica da parte di un figlio ecc., circostanze che modificano le esigenze e le possibilità delle parti.
In questi casi, ciascun coniuge/genitore può chiedere la modifica delle condizioni di separazione/divorzio o del provvedimento di regolamentazione della responsabilità genitoriale, perché risulti adeguato alle attuali e mutate condizioni di vita del nucleo familiari.
Il procedimento di modifica può essere sia congiunto, se le parti trovano un accordo, sia contenzioso, se le posizioni delle parti sono inconciliabili e dunque è necessaria la decisione del Tribunale.
Nell’ambito del procedimento contenzioso, il Tribunale dovrà accertare sia l’effettiva sopravvenienza di uno o più fatti nuovi, sia la loro idoneità ad incidere significativamente sull’equilibrio economico e/o genitoriale voluto dalle parti o dal Giudice con il provvedimento vigente.
Lo scioglimento dell’unione civile è, in termini pratici (e atecnini), il divorzio per le coppie formate da persone dello stesso sesso che si siano unite civilmente.
Non è dunque uno strumento utilizzabile da coppie eterosessuali conviventi.
Lo scioglimento dell’unione civile, a differenza del divorzio, non è preceduto dalla separazione. I partner dell’unione civile, tuttavia, prima di poterla sciogliere definitivamente, dovranno manifestare questa loro intenzione all’Ufficiale dello Stato Civile e, solo dopo 3 mesi da questa comunicazione, potranno depositare un ricorso per lo scioglimento dell’unione.
Come gli altri procedimenti in materia di famiglia, anche lo scioglimento dell’unione civile può essere congiunto – fondato sull’accordo delle parti – oppure contenzioso, cioè oggetto della decisione del Tribunale.
Il fine del procedimento relativo allo scioglimento dell’unione civile è quello di regolamentare i rapporti personali e patrimoniali tra (ex) partner.
L’art. 317bis del codice civile riconosce ai nonni il diritto di frequentare i nipoti: se tale possibilità è loro impedita, i nonni possono chiedere che sia il Tribunale a prevedere regolari frequentazioni tra loro e i nipoti.
Tale possibilità è ovviamente subordinata all’interesse del minore: le frequentazioni sono, cioè, garantite soltanto se non siano pregiudizievoli ai nipoti.
I nonni non hanno però solo diritti: l’art. 316bis del codice civile sancisce infatti, che quando i genitori non abbiano sostanze sufficienti per adempiere ai loro doveri nei confronti dei figli, sono i nonni a dover fornire ai propri figli quanto necessario a garantire il benessere dei nipoti.
In questo caso, i genitori esercenti la responsabilità genitoriale possono trovare un accordo con (tutti) i nonni, oppure chiedere che sia il Tribunale a determinare in che modo ciascun nonno dovrà intervenire in supporto dei genitori.
Nei casi in cui uno o entrambi i genitori abbiano posto in essere comportamenti che hanno messo in pericolo il figlio o che si sono rivelati in qualche modo pregiudizievoli per quest’ultimo, l’altro genitore o il Pubblico Ministero possono chiedere che ne sia dichiarata la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale.
In questi casi, solitamente, contestualmente alla pronuncia di limitazione/decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, il minore viene affidato al Comune di residenza, mentre nei casi in cui un solo genitore risulta essere pregiudizievole per il figlio, il Tribunale può affidare il minore in via esclusiva all’altro genitore.
La sottrazione dei minori è una delle principali situazioni – insieme ai maltrattamenti in famiglia – in cui la tutela degli aspetti civili della vicenda è strettamente connessa alla tutela penale.
La sottrazione di minore è infatti un reato, che commette chi “sottrae” un minore a chi esercita la responsabilità genitoriale: nei casi più frequenti è un genitore che sottrae il figlio all’altro, allontanandosi dal luogo di residenza comune e impedendo frequentazioni e/o contatti tra il figlio e l’altro genitore.
Nel caso in cui il minore venga trasferito, senza il consenso dell’altro genitore, in un’altra città italiana, la tutela civile degli interessi del minore – e del genitore “vittima” della sottrazione – avviene attraverso gli strumenti “tipici” del diritto di famiglia, quali la separazione e il divorzio, la regolamentazione della responsabilità genitoriale.
Nei casi di sottrazione internazionale di minore, invece, il procedimento è molto più complesso, richiedendo l’attivazione della Convenzione dell’Aja del 1980 oppure l’applicazione del Regolamento UE 1111/2019, oppure ancora eventuali convenzioni bilaterali tra l’Italia e il Paese in cui o da cui il minore è stato sottratto. È sempre necessario per il difensore italiano collaborare con Avvocati del Paese in cui il minore è stato trasferito o in cui il minore viveva prima di essere trasferito in Italia, così da promuovere in entrambi gli Stati una difesa coerente e sinergica.
In caso di sottrazione di minore, la tempestività è fondamentale.
Il disconoscimento di paternità e l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità sono due strumenti finalizzati, entrambi, a rimuovere lo status di figlio nel caso in cui il padre indicato sull’atto di nascita non sia effettivamente il padre biologico del figlio.
Il procedimento di disconoscimento di paternità è relativo a figli nati durante il matrimonio, e può essere introdotto:
Il procedimento di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità riguarda i figli nati fuori dal matrimonio e può essere introdotto:
Nei casi in cui si è genitori di figli minori, per il rilascio del proprio passaporto serve l’assenso dell’altro genitore, così come serve il consenso di entrambi i genitori per il rilascio del passaporto e/o della carta di identità valida per l’espatrio per i figli minori.
Nel caso in cui un genitore non riuscisse ad ottenere l’assenso dell’altro per il rilascio del passaporto proprio o del figlio, potrà rivolgersi al Giudice Tutelare motivando la propria richiesta.
Ad esito del procedimento, se il Giudice Tutelare accoglierà la domanda emetterà un decreto con cui il genitore potrà rivolgersi alla Questura per ottenere il passaporto.
Oggi sono sempre più numerose le coppie formate da coniugi/partner di nazionalità diverse, le coppie di italiani residenti all’estero, le famiglie straniere residenti in Italia ecc.
Ogni volta che si è in presenza di un così detto elemento di “transnazionalità”, prima di instaurare qualsiasi procedimento occorre verificare, sulla base dei Regolamenti Europei, delle Convenzioni internazionali o della legge 218/95 (legge di diritto internazionale privato), se il Giudice italiano è giurisdizionalmente competente, cioè se può pronunciarsi su quelle domande, e quale legge sia applicabile, se quella italiana o quella straniera.
Può capitare, per esempio, che due coniugi di cittadinanza straniera ma residenti in Italia vogliano porre fine al loro matrimonio: in tal caso essi potranno certamente rivolgersi al Giudice italiano, ma potranno scegliere se applicare la legge italiana, oppure la loro legge nazionale. In questi casi, spesso (perché molti ordinamenti stranieri così prevedono) è possibile ottenere il divorzio senza prima chiedere la separazione.
L’adozione internazionale è un procedimento che si svolge, di norma, senza l’affiancamento di un legale.
Tuttavia può accadere che il Tribunale per i Minorenni, ad esito del procedimento instaurato dagli aspiranti genitori, non li dichiari idonei all’adozione, ritenendo non sussistenti tutti i presupposti richiesti dalla legge.
In questi casi, potrebbe essere opportuno impugnare il decreto, chiedendo che la Corte d’Appello rivaluti la situazione al fine di emettere un decreto di idoneità all’adozione.
La così detta adozione in casi particolari è quella prevista dall’art. 44 l. 184/83 che prevede la possibilità di adottare minori orfani con cui si abbia un legame particolare, i figli del proprio coniuge, minori orfani con disabilità, minori per cui non sia possibile effettuare l’affidamento preadottivo.
Questo tipo di adozione, ad eccezione di quella relativa alla lett. B (adozione del figlio del coniuge) può essere richiesta anche da coppie non unite in matrimonio o persone single.
Negli ultimi anni, l’istituto dell’adozione in casi particolari (specificamente la lett. D: impossibilità di affidamento preadottivo) viene utilizzato per la meglio nota stepchild adoption, cioè l’adozione del figlio del partner nell’ambito di famiglie omogenitoriali.
In questi casi il “genitore sociale” chiede che il Tribunale per i Minorenni riconosca gli effetti giuridici, con i relativi diritti e doveri, di un rapporto genitore-figlio che, nei fatti, esiste già. Scopo di questo istituto non è tanto (e non è solo) garantire al genitore sociale un rapporto di filiazione giuridicamente riconosciuto, bensì garantire al minore il diritto di essere accudito, cresciuto, educato, istruito e mantenuto anche dal genitore sociale, anche nel caso in cui la coppia genitoriale dovesse sciogliersi.
L’adozione di maggiorenne è un istituto nato per garantire un erede a chi non avesse discendenti. Oggi l’adozione di maggiorenne può essere richiesta anche da chi ha già figli, purché essi diano il loro assenso.
L’assenso all’adozione è chiesto anche ai genitori dell’adottando e agli eventuali coniugi dell’adottando e dell’adottante.
In seguito all’adozione, l’adottato assume il cognome dell’adottante, postponendolo al proprio.
L’adozione attribuisce inoltre all’adottato i diritti successori nei confronti dell’adottante, ma non viceversa: l’adottante non avrà alcun diritto successorio nei confronti dell’adottato.
Allo scopo di fornire ai nostri assistiti un supporto completo e coordinato, ci avvaliamo di una consolidata rete di consulenti di fiducia, quali avvocati esperti in altre aree del diritto, psicologi, psichiatri, investigatori privati, commercialisti, consulenti informatici ecc.
Riteniamo infatti che la collaborazione sinergica e il confronto costante, anche con professionisti di ambiti diversi da quello giuridico, siano fondamentali per tutelare al meglio gli interessi dei nostri assistiti.
Il professionista di riferimento
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